Scorciatoie dannose

Ripristinare la lira un delitto politico, una tragedia economica

di Saverio Collura

All’apertura di un austero seminario di formazione per 30 brillanti neolaureati in ingegneria, fisica e matematica, l’incipit della prolusione del direttore del corso è stato: ci sono tre modi possibili, per le persone, per rovinarsi A) dedicarsi al gioco d’azzardo, B) coinvolgersi nelle gioie con le donne, C) affidarsi ai tecnici. E prosegue, tra il nostro stupore, dicendo: il primo è probabile ma emozionante, il secondo è possibile ma piacevole, il terzo è sicuro ma stupido. Ho voluto richiamare questo aneddoto (io tecnico per antonomasia nella mia attività professionale), perché mi è tornato in mente leggendo un’intervista di un noto economista sulla crisi in atto dell’euro, che ad un certo punto dice: "il recupero della sovranità e la possibilità di creare moneta (cioè tornare alla lira n.d.r.) ci permetterebbe di riprenderci in pochi anni". Poi in altre parti aggiunge che in questa ipotesi "avremmo un forte recupero di produttività, accompagnato però da una svalutazione del 30% e da un’inflazione del 20%"; elementi questi ultimi due certamente non di poco conto, ma anzi dagli effetti dirompenti. Ma lo stesso economista aggiunge che questi dati sono riportati in linea generale, non disponendo lui di un modello econometrico.

Forse sarebbe opportuno ricordargli le risposte del ministro del commercio estero Ugo La Malfa (con il quale l’economista in questione ha avuto una certa frequentazione) al dr. Costa, presidente di Confindustria, che gli esternava le tragiche conseguenze che si sarebbero abbattute sull’Italia a seguito del provvedimento di liberalizzazione degli scambi commerciali; o le invettive contro chi propugnava la necessità della svalutazione della lira per sostenere (in modo drogato) le esportazioni. A tutti questi Ugo La Malfa replicava che lui voleva il suo paese, l’Italia, nel cuore dell’Europa e non immerso nel Mediterraneo.

Oggi le speranze di La Malfa sono ancora più attuali ed addirittura ancora più pregnanti e più essenziali, almeno per i repubblicani e per gli italiani attenti alle prospettive democratiche della nostra nazione.

Il noto economista aggiunge, poi, che se l’Italia decidesse di imboccare la strada della moneta autonoma, avrebbe avuto bisogno, nella fase della caduta, dell’assistenza degli Usa o, della Cina o di qualche altro paese (la Russia?).

Sarebbe utile sentire il parere degli Usa, che si trovano già sul groppone, come indicava in un suo recente articolo del 1° giugno scorso Giancarlo Perasso sul sito la voce.info, il debito che avevano garantito (si tratta dei "par bonds") in favore dell’Argentina e che loro dovranno rimborsare alla scadenza naturale del 2023; o ancora l’esperienza del Brasile che, prima del 2002, avendo emesso titoli (i Brady bonds) garantiti dai titoli del Tesoro statunitense, ha dovuto pagare per gli altri titoli, diversi dai primi, interessi del 20-30%.

Resterebbe, per l’Italia, la possibilità della Cina: sarebbe interessante vedere il nostro paese come una colonia cinese, o forse della Russia di Putin. Avevamo sognato, sperato, sostenuto l’Unione Federale degli Stati europei e ci troveremmo, invece, nella Siberia, o nell’estremo oriente. Che peccato aver perso per strada la cultura e le idealità repubblicane. Ma, a questo punto, alcune significative riflessioni tecniche appaiono abbastanza indicative. Ad oggi risultano essere state realizzate alcune simulazioni su un’eventuale uscita dall’euro della Grecia, e sul conseguente ripristino della dracma. Daniel Gross ha così sintetizzato, il 31/5/2012, gli effetti di un tale evento: "il Pil greco, oggi, ammonta a circa 200 miliardi di euro l’anno. Se la Grecia dovesse introdurre la dracma, la nuova moneta si deprezzerebbe di circa il 50%, cosicché il Pil del paese probabilmente scenderebbe al di sotto dei 100 miliardi di euro. Anche le entrate dello Stato greco registrerebbero una caduta di proporzioni simili: dai circa 80 miliardi di oggi a circa 40 miliardi dopo l’uscita dall’euro. Queste magre risorse sembrano del tutto insufficienti per ripagare gli oltre 330 miliardi di euro che lo Stato greco deve ai suoi creditori stranieri". E poi, prosegue "esperienze simili per i mercati emergenti suggeriscono che solo dopo 10 anni il Pil nominale (misurato in una valuta forte) dovrebbe tornare almeno ai livelli precedenti, nel caso della Grecia diciamo almeno 200 miliardi di euro". Come si vede nel caso della Grecia, il solo studio al momento conosciuto, gli effetti negativi sarebbero notevolmente e drammaticamente più pesanti di quelli ipotizzati, "a spanne", per l’eventuale caso Italia. A tal proposito basta ricordare che il nostro Pil è pari a circa 1600 miliardi di euro (otto volte quello della Grecia), il debito sovrano è circa 1960 miliardi di euro (sei volte quello greco), le entrate totali sono pari a 798 miliardi di euro (quasi 10 volte quelle della Grecia). Riprendendo i parametri della Grecia, si ha un’idea di quanto potrebbe divenire drammatica la situazione dell’Italia in caso di uscita dall’euro.

Un ulteriore risposta dell’economista, alla domanda quali altri effetti produrrebbe il ritorno della lira, crea non poca apprensione quando dice che, per effetto della pesantissima svalutazione italiana, " la Germania cadrebbe in crisi di competitività". E pensare che nel secolo scorso, per analoghi timori tedeschi, abbiamo avuto due guerre mondiali; e che a partire dagli anni ‘50, tutti gli Stati europei hanno sviluppato azioni di reciproca solidarietà politica ed economica, proprio per eliminare ogni possibile pericolo di guerra. Ma è anche utile ricordare che la Germania ha costruito le solide basi della sua competitività non sulle fragili e drogate fondamenta della svalutazione, come ipotizzato per l’Italia, ma su una robusta politica di rigore dei conti pubblici, dei tagli della spesa corrente e di forti investimenti in ricerca e sviluppo tecnologico; cosa che, ovviamente, farebbe ancora, qualora si sentisse minacciata, con conseguenze sicuramente negative per l Paesi con sistemi produttivi deboli.

E quello che non hanno saputo fare, in quest’ultimo ventennio, i governi italiani ed è quello che bisognerebbe fare, e non ricercare nuove illusorie, inutili e dannose scorciatoie; tutte costruite sull’esplosione del debito sovrano, dell’inflazione, della svalutazione. L’introduzione dell’euro ha avuto, se non altro (ma non solo), il merito di aver reso impossibile ulteriormente queste" fregature" per i cittadini italiani: c’è qualcuno che vorrebbe riprovarci. Per questo apprezziamo enormemente quanto ha detto nel discorso a Francoforte, venerdì scorso, il presidente della Bce Mario Draghi (un tecnico, e che tecnico): "In tempi di crisi le scelte politiche sono predominanti su quelle monetarie. Bisogna colmare le falle apertesi nel percorso di integrazione europea".

P.S.: Il positivo risultato elettorale greco rende di attualità la recente affermazione della Sig.ra Merkel: "Per realizzare un’unione monetaria stabile, serve un’unione politica europea".

Ciò richiede che i Paesi periferici (PIGS) dell’area euro portino a conclusione i loro specifici piani di risanamento; mentre i Paesi centrali maturino e diano il segnale di una forte volontà federalista.